“È notte, l’Aquila è più buia di un campo d’inverno. Non sentiamo niente, non vediamo abbastanza. Siamo un po’ spaventati, un po’ anche eccitati. È per via delle case vuote, spalancate. La vita esce da quei buchi, sguaiata, oscena. Il buio di una città senza luci è fondo, sprofondato tra i muri. Diverso da qualunque altro. Il nostro spaesamento è dato anche dallo snaturamento della città. Dalla sua irriconoscibilità. Ci sono i nomi delle strade, eppure non corrispondono a quello che erano. Non importa, lasciamo stare i nomi, mi dico, sono quello a cui portano che conta, adesso. Dopo il grande trasloco di massa. La dislocazione. La dispersione. Ci perdiamo anche noi.”
Displacement, di Giovanni Cocco, è un viaggio nelle città che mutano per abbandono, che ricostruendosi rovinano. È un viaggio nella perdita, senza che sia una sparizione. La perdita di un corpo-città che non vogliamo piangere, semmai ritrovare nelle forme in cui intimità e comunità si cercano, il più liberamente possibile.
Ci siamo ritrovati nella città di L’Aquila per raccontare la nuova vita generata dalla perdita del centro e dallo spostamento degli abitanti verso le periferie. Una città di strade svuotate, di nuove case in vendita, di palazzi riemersi dalla polvere con nomi di alberghi, banche e negozi, la cui popolazione abita sperduta le New Town, una periferia-dormitorio, la cui piazza è la rotonda di un centro commerciale.
Una cartografia del cambiamento. Un approssimarsi di immagini e parole, intimo, affettivo, alla città abbandonata, scorporata. Dove il margine sembra essere il centro e dove, come in altre periferie del mondo, lo spaesamento è corporeo: interno esterno coincidono e sconfinano, si perdono nel buio. Il buio di chi cerca e si cerca.
Caterina Serra